Luoghi di Interesse

Chiesa di Santo Stefano

La chiesa di Santo Stefano – sicuramente una delle più antiche della città – ha alle sue spalle una storia molto tormentata e affascinante.

Secondo alcuni studiosi già in epoca longobarda esisteva in questo sito una chiesa affiancata a qualche opera militare facente parte del sistema difensivo della città, del quale la torre campanaria sarebbe da considerare – in parte – un reperto. Questa prima costruzione doveva essere intitolata a san Michele, un santo molto venerato dai longobardi, e la cripta sottostante l’altare della chiesa – che forma un binomio interessantissimo con l’altra d’origine longobarda del Santuario di Nostra Signora delle Grazie al Molo – è la testimonianza più certa della sua antichità.

Con la sua spoglia semplicità, la severa maestosità delle linee, la sobria gentilezza del colonnato, il silenzio, il buio, il raccoglimento a cui naturalmente trasporta, la cripta è una tappa obbligata in un ipotetico itinerario di preghiera che si proponga di toccare le chiese più suggestive della città. Non c’è quasi nulla che possa distogliere il visitatore dalla riflessione e dalla preghiera. La nudità delle pareti si riempie della presenza del divino, che sa fare lucenti anche questi muri scuri.

La cripta probabilmente era, o era parte, della chiesa appartenente alla guarnigione longobarda “prope muros civitatis Januae” ed intitolata a san Michele e san Gabriele Arcangeli; probabilmente la guarnigione e la stessa chiesa sorsero su un ancor più antico fortilizio bizantino. Sono molti gli studiosi che non hanno dubbi sul fatto che qui fosse stato battezzato, nel 1451, Cristoforo Colombo: un’ipotesi credibile e che la documentazione sembra avallare.

Ma la sua origine – forse – è ancora più antica. Durante gli ultimi restauri sono state trovate tracce di un’antica necropoli d’epoca preromana: a questo punto tutto è possibile e la storia si mescola con la leggenda lasciando spazio alla fantasia e ai racconti delle nonne.

La chiesa nuova (per esempio la parte absidale) fu eretta – pare – dal vescovo Teodolfo II (970), che ingrandì anche il monastero. La facciata fu rifatta a strisce bianche e nere, il campanile quadrato incorporò la precedente torre di guardia, e la cripta, del VI secolo, mantenne l’intitolazione ai santi Michele e Gabriele. Le forme attuali sono invece da ascrivere al XI–XII secolo a cura dei maestri Antelamici che già abbiamo visto all’opera nella costruzione delle mura di cinta cittadine (pagina 70).

Solo dopo l’erezione della cinta muraria del 1320 – 1347 la chiesa e il convento entrarono nel reticolo urbano. Era il 1536 quando, proprio sotto alle sue mura, fu aperta la porta dell’Arco, adornata dalle abili mani di Giovanni Olgiati.

Oggi quello che più salta agli occhi del visitatore è la bicromia bianco nera che abbraccia la facciata duecentesca e il lungo porticato in stile gotico che da via Venti Settembre si alza fin sul piazzale della chiesa: la guerra si è accanita con grande vigore sulla facciata della chiesa e il “dio traffico” ha voluto il sacrificio crudele del vecchio sagrato della chiesa e dell’amena stradina che da via Giulia s’arrampicava sino a lei.
I lavori di demolizione dell’antica via Giulia – più tardi – riportarono alla luce anche gli ultimi rimasugli dell’antico chiostro del convento. Da quel poco che si era potuto recuperare si ebbe la misura del molto che era andato inesorabilmente perduto. Il chiostro infatti si poteva far risalire all’epoca del vescovo Teodolfo (X secolo).

Tra il 1904 e il 1908 fu costruita una chiesa intitolata a Nostra Signora della Guardia e santo Stefano. La facciata di questo secondo edificio era ad angolo retto con la facciata della chiesa vecchia. Le cartoline del tempo ce la mostrano come una chiesa di gusto goticheggiante e fu disegnata da Camillo Galliano e affrescata dal Bevilacqua.

All’interno della nuova chiesa – con un’operazione discutibile e sfortunatissima – furono trasportati tutti i quadri che rendevano ricca la chiesa di Santo Stefano. Fu un grave danno, amplificato dal destino avverso che si accanì contro la nuova chiesa durante la seconda guerra mondiale. Vi erano opere di Domenico Piola, Valerio Castello, Gregorio De Ferrari, Domenico Cappellino, Giulio Cesare Procaccini, Bernardo Castello e altri. Solo alcune delle opere di questi grandi artisti della scuola genovese del Seicento, dopo accurati restauri, sono tornati ad abbellire le pareti di Santo Stefano.
La nuova chiesa durò pochissimo: la guerra ebbe più riguardo per la struttura millenaria che non voleva morire che per la superbia della nuova chiesa che mirava a soppiantarla. Se non fosse stato per le opere d’arte che caddero insieme a lei, nessuno avrebbe sprecato una lacrima per Nostra Signora della Guardia che, crollando, lasciava campo a Santo Stefano, da sempre nel cuore dei genovesi.

Ponte Monumentale

Subito al suo inizio è posta una lapide che ricorda la donazione di Giulio Cesare Drago, di cui s’era già parlato nell’itinerario precedente (pagina 81) relativamente al ponte di Carignano.

“GIULIO CESARE DRAGO COSPICUO MERCADANTE CON PROPRIO DENARO CURAVA

NEL 1879

CHE ROTTA LA BASTITA DI PORTA DELL’ARCO RIMANESSE INDI APERTO IL PROSPETTO

AL SOTTOPOSTO RIONE E ALLA FRONTEGGIANTE COLLINA E CHE ASSIEPATE CON BARRE DI FERRO

LE SPONDE DEL PONTE

SI ANTIVENISSE A MORTI VOLONTARIE O FORTUITE.

COMPIUTE NEL 1880 LE OPERE

IL MUNICIPIO DI GENOVA

IN MEMORIA DEL GENEROSO SUO CITTADINO PONEVA QUESTA EPIGRAFE”.

Il Ponte Monumentale risale al progetto Gamba del 1905 volto a dare una degna sistemazione al collegamento trasversale di due zone in fase di urbanizzazione, ovvero la collina di Carignano e le alture lungo via Assarotti, oltre che inserirsi nel contesto nella nuova arteria principale di Genova (via Venti Settembre) con una realizzazione dai toni monumentali.

Dei vari progetti presentati per il concorso pubblico, ancora oggi conservati, il progetto Gamba forse era il meno magniloquente, sebbene sia stato disatteso nella sua parte decorativa che prevedeva il riempimento delle nicchie con apposite statue.

Molto suggestiva è la struttura interna del ponte con le spallette d’appoggio, esplorabili tramite un tombino posto nei pressi dell’ascensore. Calandosi entro un piccolo pozzo si accede a una serie fantastica di ambienti in mattoni, dominati da archi e controarchi, insieme con oculi a cannocchiale di dimensione decrescente che creano spettacolari effetti di luce, quando illuminati artificialmente.

La recente esplorazione ha permesso di scoprire anche l’originario paramento delle mura cinquecentesche, che si credevano demolite per la costruzione di corso Andrea Podestà. In realtà la struttura degli arconi che reggono il corso è stata semplicemente addossata alle vecchie mura interrandole. Invece nei pressi delle spallette del ponte esigenze fognarie hanno portato alla creazione di un’altissima sala, dove sono convogliate le acque di Carignano che giungono al collettore lungo via Venti Settembre tramite una grande cascata che – in parte – termina la sua corsa entro un pozzo. Quest’enorme sala sfrutta come parete una parte delle mura, rendendone così visibile un pezzo. La vastità dell’ambiente, il fragore della cascata e le strutture in mattoni del ponte creano in questo punto una zona di forte suggestione.

Fonte: Sei itinerari in Portoria – A. Preste – A. Torti – R. Viazzi
www.removiazzi.it